Ricorso della regione Lombardia, in persona del  presidente  della
 giunta  regionale  ing. Giuseppe Giovenzana, autorizzato con delibera
 della giunta regionale n. 18246 del 28 gennaio 1992, rappresentato  e
 difeso  dagli  avvocati  prof.  Valerio  Onida  e Gualtiero Rueca, ed
 elettivamente domiciliato presso quest'ultimo in  Roma,  largo  della
 Gancia,  1,  come  da  delega  a margine del presente atto, contro il
 Presidente  del   Consiglio   dei   Ministri   pro-tempore   per   la
 dichiarazione  di illegittimita' costituzionale degli artt. 4, ottavo
 e quindicesimo comma, 6, primo comma, e 19 della  legge  30  dicembre
 1991,  n. 412, recante "disposizioni in materia di finanza pubblica",
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 305 del 31 dicembre 1991.
    L'art. 4, ottavo comma, della legge n. 412/1991  dispone  che  "e'
 abolito  il  controllo dei comitati regionali di controllo sugli atti
 delle unita' sanitarie locali e degli istituti di ricovero e  cura  a
 carattere scientifico", nonche' degli enti ospedalieri ivi indicati.
    Il  comma  prosegue  poi  stabilendo  che "limitatamente agli atti
 delle unita' sanitarie locali e  dei  sopracitati  enti  ospedalieri"
 riguardanti determinate materie elencate, "il controllo preventivo e'
 assicurato  direttamente dalla regione, che e' tenuta a pronunciarsi,
 anche  in  forma  di  silenzio-assenso,  entro  quaranta  giorni  dal
 riconoscimento" e che "i provvedimenti come sopra approvati diventano
 definitivi".
    Infine  il  comma  stabilisce  che "per gli istituti di ricovero e
 cura a carattere scientifico, il controllo di cui agli artt. 16, 17 e
 18  del  d.P.R.  31  luglio  1980,  n.  617,  e'  esteso   anche   ai
 provvedimenti  riguardanti  i programmi di spesa pluriennali e quelli
 per  la  disciplina  e  l'attribuzione  'forse  si  voleva  scrivere:
 l'attuazione' dei contratti e delle convenzioni. Il termine di trenta
 giorni  previsto  dall'art.  18 del d.P.R. 31 luglio 1980, n. 617, e'
 modificato in quaranta giorni".
    Il sistema dei controlli sugli  istituti  di  ricovero  e  cura  a
 carattere  scientifico risultava prima d'ora dall'art. 42 della legge
 n. 833/1978 e degli artt. 16 e seguenti del d.P.R. 31 luglio 1980, n.
 617.
    L'art. 42 della legge di riforma del 1978 prevede che gli istituti
 "per la parte  assistenziale  sono  considerati  presidi  ospedalieri
 multizonali  delle  unita'  sanitarie  locali nel cui territorio sono
 ubicati" terzo comma; che "nei confornti di detti  istituti,  per  la
 parte  assistenziale,  spettano  alle  regioni  le  funzioni che esse
 esercitano  nei  confronti  dei  presidi  ospedalieri  delle   unita'
 sanitarie locali o delle case di cura private a seconda che si tratti
 di  istituti  aventi  personalita' giuridica di diritto pubblico o di
 istituti aventi personalita' giuridica di  diritto  privato",  mentre
 "continuano ad essere esercitate dai competenti organi dello Stato le
 funzioni attinenti al regime giuridico-amministrativo degli istituti"
 quarto  comma; e che "il controllo sulle deliberazioni degli istituti
 aventi personalita' giuridica di diritto pubblico, per quanto attiene
 alle attivita' assistenziali e' esercitato nelle forme  indicate  dal
 primo  comma dell'art. 49" (cioe' dai comitati regionali di controllo
 integrati da un esperto in materia sanitaria e da  un  rappresentante
 del  Ministero  del tesoro, operanti nelle forme previste dagli artt.
 59 e seguenti della legge n.   62/1953, e  oggi  in  quelle  previste
 dalle leggi regionali di cui all'art. 61, terzo e quarto comma, della
 legge  n. 142/1990), salve certe facolta' di deroga alle disposizioni
 regionali, su autorizzazione ministeriale (sesto comma).
    A sua volta il d.P.R. n. 617/1980, emanato in base alla delega  di
 cui all'art. 42, settimo comma, della legge n. 833/1978, assoggettava
 a  controllo  "di  legittimita'  e  di merito" le deliberazioni degli
 istituti con personalita' giuridica di diritto pubblico,  concernenti
 determinate   materie   (art.  16);  sottoponeva  in  particolare  al
 controllo del Ministro della sanita' le deliberazioni concernenti  le
 modificazioni  statutarie,  i  regolamenti  e  la pianta organica, il
 bilancio preventivo e il conto consuntivo, l'ordinamento dei  servizi
 e  le  convenzioni  in  materia  di  ricerca  scientifica  (art. 18);
 attribuiva alla regione "il controllo, per  la  parte  assistenziale,
 secondo  quanto e' stabilito dal sesto comma dell'art. 42 della legge
 23 dicembre 1978, n. 833", salva la precedura di deroga,  ed  inoltre
 il   controllo   sulle  deliberazioni  concernenti  l'assunzione  del
 personale, la stipulazione di contratti di ricerca e l'istituzione di
 borse  di  studio,  il  trattamento  economico  del   personale,   le
 alienazioni e gli acquisti immobiliari e le transazioni (art. 19).
    La  regione  ricorrente  ha  disciplinato  il controllo sugli atti
 degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di  diritto
 pubblico  con  le  stesse  norme  dettate per il controllo sugli atti
 delle U.S.L., affidandolo al comitato regionale (art. 3, primo comma,
 della l.r. 8 febbraio 1982, n. 12).
    Il controllo esercitato dalla regione, per la parte assistenziale,
 sugli  istituti era correlato non solo alle competenze programmatorie
 e amministrative della regione  stessa  in  materia  di  sanita',  ma
 altresi'   alla   circostanza  che  il  finanziamento  dell'attivita'
 assistenziale svolta dagli  istituti  medesimi  e'  assicurato  dalla
 regione   attraverso  l'utilizzo  della  quota  regionale  del  fondo
 sanitario nazionale.
    Orbene, l'art. 4, ottavo comma, della legge n.  412/1991  sopprime
 puramente  e  semplicemente  il controllo regionale sugli istituti di
 ricovero e cura a carattere  scientifico;  e  mentre  per  le  U.S.L.
 sostituisce  il  soppresso  controllo  dei  c.r.c.  con il controllo-
 approvazione della stessa regione su determinate categorie  di  atti,
 per  gli  istituti  scientifici  si  limita  a estendere il controllo
 ministeriale  (che  attiene  agli  atti  relativi  all'attivita'  non
 assistenziale,  ai  sensi  dell'art. 42, primo comma, lett. b), della
 legge n. 833/1978) ad alcuni provvedimenti "riguardanti  i  programmi
 di  spesa  pluriennali  e  quelli  per la disciplina e l'attribuzione
 'attuazione' dei contratti e delle convenzioni" (cioe'  a  due  delle
 categorie  di  atti  che, per le U.S.L., sono demandati al controllo-
 approvazione della regione,  ai  sensi  dello  stesso  ottavo  comma,
 secondo periodo).
    In  tal  modo  pero',  in parte sopprimendo il controllo, in parte
 trasferendolo  al  Ministero   (su   atti   concernenti   l'attivita'
 assistenziale)  e'  palesemente  violata  la  competenza legislativa,
 amministrativa, programmatoria e finanziaria della regione.
    Gli istituti scientifici sono infatti  enti  funzionali  operanti,
 per   quanto  concerne  l'attivita'  assistenziale,  nell'ambito  del
 servizio  sanitario  di  competenza  regionale,  e  finanziati  dalla
 regione  attraverso  il  fondo  sanitario  nazionale.  Il legislatore
 statale non puo' dunque, senza violare la Costituzione, sottrarre del
 tutto il controllo su  tali  istituti  alla  regione,  e  tanto  meno
 trasferirlo al Ministero della sanita'.
    E'  violato  altresi' l'art. 130 della Costituzione, in quanto gli
 istituti in parola debbono ritenersi  inclusi  fra  gli  "altri  enti
 locali"  il  controllo  sui  cui  atti  spetta  ad  "un  organo della
 regione", e  comunque  sono  per  legge  considerati,  per  la  parte
 assistenziale, presidi multizonali dell'unita' sanitaria locale (art.
 42,  terzo  e  quarto  comma,  della  legge n. 833/1978), e come tali
 dovrebbero essere soggetti allo  stesso  regime  anche  di  controllo
 previsto per le U.S.L. e per i presidi multizonali.
    La  disposizione  in  questione, pertanto, e' illegittima e lesiva
 dell'autonomia della ricorrente.
    Il quindicesimo comma del medesimo art. 4 della legge n. 412/1991,
 su una linea analoga a quella della  disposizione  appena  censurata,
 prevede che "gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico,
 i   policlinici   universitari   a  diretta  gestione,  gli  istituti
 zooprofilattici  sperimentali  e  l'Istituto  superiore  di   sanita'
 possono essere ammessi direttamente a beneficiare degli interventi di
 cui  all'art.  20  della  legge 11 marzo 1988, n. 67, su una apposita
 quota di riserva determinata dal Cipe, su proposta del Ministro della
 sanita', previo conforme parere della  conferenza  permanente  per  i
 rapporti  tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e
 di Bolzano in sede di definizione della disponibilita' per i mutui".
    L'art. 20 della legge n. 67/1988 prevede il finanziamento mediante
 operazione di mutuo delle regioni, con oneri a carico dello Stato, di
 un    "programma    pluriennale   di   interventi   in   materia   di
 ristrutturazione  edilizia  e  di  ammodernamento   tecnologico   del
 patrimonio  sanitario  pubblico  e  di realizzazione di residenze per
 anziani e soggetti non autosufficienti".
    Il programma e' formato sulla base di programmi  regionali,  e  il
 finanziamento deve essere destinato alle opere previste nei programmi
 regionali medesimi (cfr. la sentenza di questa Corte n. 318/1990).
    Ora, ammettere gli istituti scientifici (e lo stesso discorso vale
 per  i  policlinici  universitari  a  diretta gestione e gli istituti
 zooprofilattici  sperimentali)   a   beneficiare   direttamente   dei
 finanziamenti  su  una  quota  addirittura  loro  riservata significa
 sottrarre  tali  investimenti   -   attinenti   ad   opere   relative
 all'edilizia  ospedaliera,  materia di stretta competenza regionale -
 alla programmazione regionale, e sottrarre la corrispondente quota di
 finanziamento alle determinazioni della regione.
    Ne' basta la previsione di un  conforme  parere  della  conferenza
 Stato-regioni, sia perche' tale coinvolgimento procedimentale rigurda
 solo  la  determinazione  della quota di riserva e non l'assegnazione
 dei finanziamenti diretti agli  istituti  scientifici  e  agli  altri
 enti,  sia  perche',  in ogni caso, tale parere non puo' surrogare la
 competenza  programmatoria  della  singola   regione   su   opere   e
 investimenti  che  riguardano  il  proprio  territorio  e le relative
 infrastrutture sanitarie.
    Anche tale disposizione viola dunque  l'autonomia  programmatoria,
 finanziaria e di spesa della regione.
    L'art.  6,  primo  comma,  della legge in questione stabilisce che
 "tutte  le  piante  organiche  di  Ministeri,  enti  pubblici,   enti
 economici definite prima dell'avvio del processo di informatizzazione
 e,  in  ogni  caso,  tutte  le piante organiche definite prima del 31
 dicembre 1989 debbono essere riviste in diminuzione  sulla  base  dei
 carichi   funzionali   entro   il   30   giugno   1992  e  sottoposte
 all'approvazione  formale  della   Presidenza   del   Consiglio   dei
 Ministri".
    Il riferimento agli "enti pubblici" contenuto in tale disposizione
 appare  probabilmente  da intendersi come limitato agli enti del c.d.
 parastato, e quindi non inclusivo delle regioni, quantunqe  anch'esse
 siano  "enti  pubblici":  come  puo'  desumersi  fra  l'altro sia dal
 particolare procedimento di controllo-approvazione posto in capo alla
 Presidenza del Consiglio, sia dal  confronto  con  il  secondo  comma
 dello  stesso art. 6, ove le regioni sono elencate accanto agli "enti
 pubblici".
    Ma, per l'ipotesi non creduta che  la  disposizione  in  questione
 dovesse   ritenersi   riferita  anche  alle  regioni,  la  ricorrente
 cautelativamente la impugna: sarebbero infatti  evidentemente  lesive
 della  sua  autonomia  legislativa  e organizzativa sia l'imposizione
 dell'obbligo di revisione in diminuzione delle piante organiche, sia,
 tanto piu', la sottoposizione di queste alla  "approvazione  formale"
 della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
    L'art.  19  della  legge  n.  412/1991  stabilisce  che  "le spese
 sostenute dalle regioni, dalle province, dai comuni, dalle  comunita'
 montane nonche' dai loro consorzi e aziende, per acquisto, gestione e
 manutenzione  di  autoveicoli  adibiti al trasporto di persone; spese
 postali e  telefoniche;  acquisto  ed  abbonamenti  a  pubblicazioni;
 partecipazione  a  convegni,  non  potranno  nell'anno  1992 superare
 quelle previste dal bilancio preventivo per il 1991 di ciascun ente".
    Il  vincolo  o  "tetto"  di  spesa,  a  quanto  sembra,   riguarda
 distintamente   ciascuna  delle  voci  considerate,  e  non  solo  il
 complesso delle medesime (che comprendono d'altronde spese di  natura
 assai differenziata).
    Non  e'  poi  chiaro  il  riferimento agli "autoveicoli adibiti al
 trasporto di persone", espressione  con  la  quale  probabilmente  il
 legislatore ha inteso riferirsi alle autovetture di servizio, ma che,
 per  la sua latitudine, sembrerebbe letteralmente comprendere anche i
 mezzi automobilistici adibiti a trasporto collettivo di persone, come
 gli autobus (con il che pero' si avrebbe  un  "tetto"  di  spesa  del
 quale sarebbe impossibile cogliere il significato).
    In  ogni  caso,  il  vincolo  in  questione  e' palesemente lesivo
 dell'autonomia legislativa, organizzativa,  finanziaria  e  di  spesa
 della regione.
    Le   spese  in  questione  attengono  all'ordinario  funzionamento
 dell'apparato regionale, e la loro determinazione consegue dunque  ai
 criteri  della organizzazione degli uffici regionali (art. 117, primo
 alinea,  della  Costituzione),  nonche'  ad   attivita'   strumentali
 rispetto all'esercizio di tutte le competenze regionali.
    Non  si  vede  a quale titolo lo Stato possa pretendere di imporre
 alla regione uno specifico vincolo alla crescita di tali  spese,  che
 si  traduce  in  un abnorme vincolo alle attivita' organizzative e di
 funzionamento dell'apparato regionale.
    La disposizione in esame non  potrebbe  nemmeno  giustificarsi  in
 nome  di  esigenze di coordinamento finanziario. Il potere statale di
 coordinamento finanziario  puo'  esercitarsi,  in  ipotesi,  dettando
 indirizzi  o  criteri  o  vincoli  complessivi,  mai  intervenendo su
 specifiche attivita' di spesa.
    Ma, soprattutto, il potere di  coordinamento  puo'  attenere  solo
 allo sviluppo globale della finanza regionale (che lo Stato controlla
 strettamente,  d'altra parte, dal lato dell'entrata), non alle scelte
 di destinazione delle risorse all'interno delle finalita'  dell'ente,
 oggetto delle libere determinazioni degli organi regionali.
    D'altra parte, l'imposizione di limiti massimi alle spese postali,
 o  per partecipazione a convegni, potrebbe - in via di mera ipotesi -
 essere misura ragionevole se adottata da un capo  di  amministrazione
 nei  confronti  degli  uffici da lui dipendenti, al fine di contenere
 eventuali sprechi.
    Ma una simile direttiva amministrativa non puo' certo configurarsi
 ne'  giustificarsi  come  un  vincolo  che  lo  Stato   possa   porre
 all'autonomia di spesa, costituzionalmente garantita, delle regioni.
    Il  vincolo  in  questione  si  traduce di fatto in un illegittimo
 ostacolo  allo  svolgimento  dell'attivita'   regionale   strumentale
 all'esercizio  delle  sue  attribuzioni.  In molti casi, oltre tutto,
 imporre di non superare  la  spesa  del  1991  significa  imporre  di
 ridurre  l'attivita'  che  da' luogo a spesa, in quanto, a parita' di
 attivita', questa costerebbe di piu'  che  nel  1991,  se  non  altro
 perche'  sono  aumentate, nel corso di tale anno, le relative tariffe
 (cosi' le tariffe postali e quelle telefoniche).
    Senza dire, infine, che il vincolo in questione appare  del  tutto
 irrazionale, e non solo per l'arbitraria scelta dei capitoli di spesa
 considerati.
    Cosi'  potrebbe  accadere, per esempio, che si prospettino per una
 regione, nel 1992, esigenze di  spesa  per  acquisto  di  autoveicoli
 particolarmente  elevate  in  vista della obsolescenza dei veicoli in
 servizio; o che,  viceversa,  nel  1991  per  tale  spesa  sia  stata
 particolarmente ridotta, ad esempio perche' le autovetture potrebbero
 essere state recentemente acquistate.
    E  si  potrebbe  proseguire facilmente in questa esemplificazione.
 Ancora, e' assurdo un siffatto vincolo  esterno  (non  derogabile)  a
 spese  che  non  sono  rigidamente  programmabili a priori nella loro
 entita' (raggiunto il  "tetto",  che  cosa  fara'  l'amministrazione:
 smettera'  di  scrivere  o  di  telefonare,  o non fara' riparare gli
 autoveicoli?).
    Non parliamo, poi, delle assurde  conseguenze  che  tale  tipo  di
 vincolo  potrebbe  produrre nell'ambito non gia' di un ente di grande
 dimensione, come e' la regione, ma di una piccola azienda  dipendente
 dalla  regione,  in  cui  le voci di spesa considerate possono essere
 assai contenute: eppure la disposizione in esame pone il vincolo  con
 riferimento al bilancio 1991 "di ciascun ente".
    E'   singolare   notare   come   la   disposizione  impugnata  sia
 sostanzialmente ricalcata nell'art. 23, quarto comma, lett.  c),  del
 recentissimo  d.-l.  20 gennaio 1992, n. 11, contenente "disposizioni
 urgenti in materia di finanza locale per il  1992":  il  quale  vieta
 alle  regioni  che  ricorrono  ai  mutui  straordinari  a ripiano dei
 disavanzi di  amministrazione,  autorizzati  dal  primo  comma  dello
 stesso  art.  23, di impegnare per le stesse voci di spesa (oltre che
 "per consulenza esterna") somme superiori a quelle relative  all'anno
 precedente a quello di contrazione dei mutui.
    In   tale  ultimo  contesto  la  disposizione  (per  quanto  molto
 discutibile) si prospetta come una sorta di "sanzione" a carico della
 regione "dissestata". Ma non ha evidentemente alcun senso imporre  un
 analogo  vincolo  a  regioni  che  "dissestate" non sono, e non fanno
 ricorso a strumenti straordinari di finanziamento  del  disavanzo  di
 amministrazione.
    Pure  sotto  questo profilo appare evidente l'illegittimita' della
 disposizione in questione, anche per  violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione,   essendosi   riservato   un   trattamento  identico  a
 situazioni che sono invece diverse (regioni che presentano  disavanzi
 di  consuntivo  e  ricorrono agli speciali mutui a ripiano, e regioni
 che non li presentano).
    Si tratta, in definitiva, di una sorta di "disposizione-manifesto"
 volta forse a rispondere alle frequenti  accuse  di  sprechi  che  si
 rivolgono  alla  pubblica amministrazione. Ma e' evidente che intenti
 demagogici di tale  tipo  non  possono  giustificare  reali  e  gravi
 lesioni dell'autonomia costituzionalmente garantita dalla regione.